Ciò di cui voglio parlare è il racconto di un viaggio alla ricerca della mia vera identità. Un’immersione nell’Oceano sconfinato che è la Consapevolezza del Sé.
È proprio vero che tutto inizia nel preciso momento in cui si decide di partecipare all’ intensivo della consapevolezza di chi sei tu.
Perché deciderlo è il primo passo verso quella apertura e quella disponibilità a veder crollare tutte le certezze su cui si fonda la personalità. Si avverte un fermento interiore, che altro non è se non la risposta ad una chiamata. Il cuore lo sa, ne sente l’irresistibile attrazione, mentre la mente è recalcitrante e dubbiosa, sempre. Ma va bene così, questo è il suo ruolo. La guardo mentre solleva obiezioni, sempre le solite, in uno schema ripetitivo. Semplicemente la vedo, lasciando che svaniscono da sole, così come sono sorte le sue illusioni. Proprio come fossero una nube che per sua natura, dopo essersi addensata, si dissolve.
Resto presente alla chiamata e all’amore, che da sempre conosco. Che sempre è venuto in mio soccorso. Mi fido. E così inizia il viaggio. Mi trovo immersa in un luogo mai visto prima, di un incanto che rapisce. Insieme a me altri compagni di viaggio, la maggior parte sconosciuti.
Subito mi sono sentita immersa in un campo di silenzio dolcissimo, pervadente che invitava a sostare. E così poco a poco quella domanda “Chi sono io”, si è fatta strada con gentilezza, andando sempre più in profondità. La mente continuava a reclamare le sue ragioni, urlando la sua stanchezza, il suo conoscere già tutto, il suo riportarmi alle cose affascinanti che mi riempiono il cuore di gioia, compreso l’amore immenso per mia figlia. Difficile resistere alle sue seduzioni. Ma ero lì per trovare la vera ragione per cui vivo. E amorevolmente accoglievo ogni invito seduttivo e lo lasciavo andare.
In questo processo, molti sono stati i momenti di sconforto e di profonda convinzione che non ce l’avrei fatta. Anche le aspettative hanno fatto la loro parte nell’ostacolare il percorso. Cercavo di restare, rispondendo all’invito della Presenza, sempre vibrante. Sentivo che potevo riposare in Questo. Mi sentivo figlia di questo tutto che avvolge e penetra e rende visibile l’intera manifestazione. Ma più il tempo passava, più mi sentivo in stallo. Sì certo, ero lì vicina alla soglia. Sentivo un amore immenso, pervadente, che tutto accoglie con uno sguardo che non preferisce. Illumina qualsiasi opposto comprendendolo in se stesso. È respiro leggero, carezza sulla pelle, stupore nell’assaporare i cibi, meraviglia nell’udire i bisbigli delle voci attorno accadere in sé, mescolati al canto degli uccelli. Ma sentivo che qualcosa di importante mancava.
Finché, ad un certo punto, nell’ascolto in diade di ciò che la compagna stava descrivendo, ho sentito una vampata di calore che mi stava pervadendo. Erano mille lingue di fuoco che salivano dall’osso sacro. E stavano incendiano il mio cuore. Sono corsa da Harihar per dirgli: “Non ce la faccio più a tenere questo tappo sopra tutta questa energia che mi sta divorando. Va bene, sono amore compassionevole, leggerezza, silenzio. Ma c’è di più, c’è una potenza che non posso più frenare!”
“Allora vai e comunicalo, lasciati attraversare.”
Così sono rientrata in diade. Ho cominciato a descrivere alla compagna ciò che stavo vivendo, di come stessi bruciando. Le ho detto: “ora non ti spaventare, ma devo mettermi a terra. Perché sento in me tutta la potenza del femminile. L’Amato è anche femmina e per femminilità divina non intendo solo l’aspetto materno. Essa È l’energia dell’universo che è potente e sensuale. Perché io sono Shakti.”
Mi sono buttata a terra rispondendo all’impulso ormai incontenibile, abbandonando il mio corpo a questa potente energia. Da quel momento sono iniziati il pranayama spontaneo, le asana, i mudra, la devozione che si è trasformata in un canto dolcissimo a Rama. Sono scivolata in uno stato contemplativo avvolta e pervasa da un amore puro, limpido. Una quiete silenziosa si è impossessata di me. Attorno a me gli altri stavano danzando, urlando, ma ciò non mi turbava. Ero comunque parte di una scena più ampia, in cui ogni aspetto manifesto era in armonia. Finita la danza, sono riemersa da quello stato meditativo e ritrovarmi specchiata negli occhi di una compagna è stato come un dolce planare.
Successivamente siamo usciti per fare la passeggiata, sotto un cielo stellato di incredibile bellezza. Ero felice così, mi sentivo benedetta da un flusso di Grazia, inaspettato. Era tutto perfetto, c’era da perdersi in quella visione. Guardando tra le varie costellazioni, di cui poche ne conosco il nome, mi ha attratto una stella in particolare. Osservando bene era Shedir, la stella più luminosa della costellazione di Cassiopea. Un Lampo fulmineo mi ha fatto perdere in lei. In quell’attimo sapevo che eravamo fatte della medesima sostanza. Contemplarla, mi indicava che ero sulla giusta via. Ne ero certa.
L’indomani mattina inaspettatamente, mi sono svegliata con un senso di ribellione e di rabbia, di cui non ne capivo la ragione. Erano forse le aspettative o ancora altre resistenze o la paura di non riuscire nell’intento?
Sentivo frustrazione ed il desiderio di mollare, di accontentarmi. In fondo avevo già ricevuto moltissimo. Dovevo solo pazientare ancora un poco. E poi tutto sarebbe finito.
Per fortuna è arrivato il momento del movimento, nel quale sono riuscita a farmi trasportare dalla danza. Mi muovevo gioiosa, libera, incredula di potermi esprimere senza timore di urtare i compagni. Ero in un gioco stimolante attraverso il quale, assecondando i movimenti spontanei, riuscivo ad essere sempre più fiduciosa. Mi sono rilassata.
Anche il respiro circolare ha contribuito a liberare ancor più tutta quell’energia. Non ricordo molto di quei momenti in realtà. So solo che alla fine sono caduta nuovamente in una contemplazione, ancora più profonda di quella della sera precedente. Non c’era più nulla di me. Solo Silenzio Vuoto. E tanta Luce. Non sarei più uscita da quello stato. I compagni erano già andati a fare colazione ed io, ero ormai sola. Ma in uno stato di beatitudine.
Ora ricordo che ad un certo punto ho deciso di raggiungere gli altri, ma ormai era già tempo di un’altra diade.
Senza supporre che di lì a poco sarebbe aperto un varco. Mi sono sentita attratta da una compagna in particolare. Ci siamo sedute una di fronte all’altra e da subito i nostri sguardi si sono fusi in una danza d’amore. Ero così rilassata ed appoggiata alla presenza. Che gioia immensa potersi riconoscere all’ istante. Non simili. Ma una sola sostanza. Ricordo di averle detto: “Questo è l’Istante perfetto di assoluta Bellezza.”
Niente da aggiungere o togliere. Non c’era distinzione tra lei e me. Non c’era pensiero, né sensazione. C’era un solo unico essere che contempla se stesso. Amore infinito.
Da quel momento che ho assaporato fino all’ultima goccia, ho compreso l’importanza del comunicare. Non attraverso lo sforzo della mente. Ma attraverso quella attitudine di resa, riposo nella Quiete e ascolto intensissimo di ciò che percepivo. E così ogni parola poteva emergere proprio da quello spazio. Ed unirsi infine, al mio dire, al mio particolare modo di esprimere tutta quella bellezza attraverso la gioia, l’entusiasmo, il sorriso, le mani che gesticolavano. Cosciente che lo stavo comunicando alla consapevolezza nascosta dentro lo sguardo dei compagni.
È stato un intensivo molto impegnativo e difficoltoso. Senza la fermezza, la forza, la determinazione, la pazienza e l’aiuto costante di te, caro Harihar, molti di noi si sarebbero persi. Le tue parole, il tuo indirizzarci mostrandoci la via è determinante. Che meraviglia poi i tuoi racconti e la lettura delle poesie! Sempre così toccanti ed intensi. Fonte d’ispirazione ed intuizioni profonde.
La dolcissima presenza di Anya e Veeta ha avvolto, accompagnato e sostenuto questi tre giorni con una delicatezza sempre rispettosa di ogni nostro passaggio. Anche a loro va la mia più profonda gratitudine.
Alessandra
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